E' tutta colpa di Barbie? Le bambine ed il Body Shaming
Quella del gioco è tra le
attività più importanti e rivelatrici svolte da un bambino durante la sua fase
di crescita e sviluppo emotivo. Il gioco permette la nascita ed il progresso
della creatività e dell’immaginazione, lo sviluppo delle capacità relazionali,
motorie, affettive, accompagnando ogni bambino nelle transizioni fondamentali
della propria vita. Il gioco con le bambole, i bambolotti ed i peluches, in
particolar modo, a prescindere dal genere, dall’estrazione sociale e dalla
cultura di riferimento rappresenta, per maschi e femmine, un vero e proprio
palcoscenico immaginario nel quale il bambino sperimenta il potere di
reinterpretare i ruoli, le azioni, i comportamenti ed i sentimenti delle figure
di riferimento più importanti della propria quotidianità .
Attraverso
l’osservazione attenta di quanto avviene nel proprio ambiente, ogni bambino
mette in scena, mediante la drammatizzazione e la vivificazione dei propri
giocattoli, emozioni ed azioni che hanno bisogno di essere da lui comprese,
elaborate ed “apprese”, come nel caso del “fare come se”, una sorta di gioco di
ruolo nel quale il bimbo interpreta, assieme alle sue bambole-bambine, il ruolo
di un adulto (un genitore, un maestro, un fratello maggiore) in base al modello
relazionale che, pian piano, apprende tra le mura domestiche e scolastiche,
attraverso il rapporto con familiari ed insegnanti. Il giocattolo favorito,
inoltre, che si tratti di una bambola, di un orsetto di pelo oppure di un
soffice cuscino, simbolo concreto di accoglienza e rassicurazione, diviene quello
che in Psicologia viene chiamato un oggetto “transizionale”, ossia di
accompagnamento nella delicata fase di passaggio tra la simbiosi con il
genitore e quel naturale distaccamento a favore di una piccola personalitÃ
separata ed autonoma in crescita. Il giocattolo che svolge il ruolo di oggetto
transizionale rappresenta quella presenza sicura, stabile e rasserenante che,
passo dopo passo, sostituirà temporaneamente il legame più antico e fusionale
con il genitore.
Le modalità di gioco non sono
sempre le stesse in ogni bambino. Esse cambiano e si evolvono non solo in base
all’età anagrafica ed alle fasi di sviluppo psicofisico, ma anche in base alle caratteristiche di quella piccola personalità in divenire, alla storia ed alle esperienze di vita.
Esistono bambine che non possono fare a meno di giocare con le bambole ed i
bambolotti, impersonificando il ruolo di una piccola mamma attenta e premurosa,
e bambine che, invece, preferiscono fin da subito il gioco con una bambola
diversa, meno bambina e più ragazza, meno figlioletta e più amica, sorella
maggiore, giovane madre o moderna zia, come nel caso della Barbie. Si potrebbe
ipotizzare che, mentre un bambolotto dalle fattezze di un infante può
rappresentare nella realtà quel bambino che si sente più o meno amato, accudito
e curato dai propri adulti di riferimento, la bambola Barbie, dal corpo di una
giovane donna, potrebbe essere, invece, una proiezione della futura ragazza che
una bambina desidera diventare (oppure di una donna adulta che la bimba osserva,
nella propria quotidianità , con occhi colmi di ammirazione, amore, soggezione,
timore o qualsiasi altra emozione che può accompagnare il legame con una madre,
una sorella, una maestra). E’ come se la bambola-bambolotto raffigurasse il
passato ed, in parte, il presente da rielaborare, mettere in scena, mentre la
Barbie sembra proiettare un futuro ideale e creativo, un’immagine di sé che,
come recita uno dei più recenti slogan della Mattel, sua casa di produzione,
può essere tutto ciò che desideri (“You can be anything”, puoi diventare tutto
ciò che vuoi).
Mi sembra superfluo descrivere
nel dettaglio le caratteristiche della bambola Barbie e le sue evidenti
differenze fisiche (e, di conseguenza, culturali e psicologiche) con il
classico bambolotto dalle sembianze di un neonato. Tutti noi conosciamo Barbie,
la giovane donna alta e snella dai lunghi capelli biondi e dai luccicanti occhi
blu. Nonostante i grandi cambiamenti e le sue metamorfosi negli anni, a partire
dal 1959, suo anno di nascita, e fino al lancio delle più recenti Barbie dai
nuovi corpi “curvy”, “tall” e “petite”, Barbie è rimasta più o meno la stessa
di sempre: una donna poliedrica dalle infinite carriere, dalla personalitÃ
sfaccettata e dalla vita interessante e movimentata. Praticamente il sogno di
(quasi) ogni donna, oltre che di (quasi) ogni bambina.
Gli ultimissimi anni hanno
visto la nascita di nuove bambole Barbie dalle fisicità più realistiche. La
Barbie curvy, dalla silhouette più formosa e meno sottile. La Barbie tall, più
longilinea ed atletica. La Barbie petite, minuta e bassina. Il cambio di
direzione aziendale, definito come un cambiamento storico e profondo, sembra
essere la risposta ragionevole alla polemica sociale contro quel modello
corporeo irraggiungibile ed irrealistico del quale l’inconsapevole Barbie,
fidata compagna di giochi ed avventure delle ultime generazioni di bambine,
sembra essere stata una colpevole portatrice. Alcune ricerche nel campo
psicologico spiegano, infatti, di aver rilevato un’influenza considerevole
circa l’immagine del proprio corpo e la propria autostima estetica da parte del
giocattolo Barbie, con il suo vitino sottile, il seno abbondante, i fianchi
stretti e le gambe lunghe e flessibili. Secondo gli studi sperimentali, le
bambine tra i 5 e gli 8 anni quotidianamente accompagnate (e forse bombardate)
dall’immagine femminile della Barbie potrebbero aver sviluppato il rischio di
una percezione sofferente del proprio corpo basata su un ideale granitico di
magrezza irraggiungibile e di scarsa considerazione di sé nel confronto con la
esile silhouette della propria bambola, le cui proporzioni corporee, in
effetti, non rispecchiano in modo efficace la realtà del corpo femminile.
Quando per la prima volta mi
sono imbattuta nelle nuove Barbie della Mattel (non mi vergogno di ammettere
che, da brava trentenne, non dimentico mai una passeggiata nel reparto
giocattoli, di tanto in tanto, per aggiornarmi sulle nuove tendenze modaiole
della mia bambola preferita di tutti i tempi) non posso dire di essermi accorta
subito dei grandi cambiamenti della sua silhouette. Con gli stessi occhi con
cui, da bambina, osservavo sognante le bambole bionde tra gli scaffali del
supermercato, dovevo essermi soffermata sui suoi abiti coloratissimi, sul suo
make up sgargiante, sugli ultimi accessori divertenti presenti nelle confezioni
e sui suoi nuovi tagli di capelli alla moda, tralasciando (distrattamente?) quel
corpo “perfetto” sotto gli abiti ed il trucco. Quando, da bambina e da
ragazzina, mi dedicavo appassionatamente al gioco con la mia Barbie (da sempre
preferito al gioco della mamma e del bambino attraverso bambolotti e pupazzi),
ciò che vedevo in lei non era un corpo desiderabile ed affascinante, bensì
un’avventura possibile e sempre nuova, una storia fantastica da inventare,
un’acconciatura bizzarra da realizzare, una possibilità di relazionarmi in modo
creativo con amiche e compagne di scuola mediante quel teatro privato e
fantasioso che, per me, era il gioco. Non mi soffermavo sulla bambola Barbie in
quanto corpo “sessualizzato”, non ne osservavo i dettagli fisici o gli attributi
femminili (il seno, la vita sottile, i fianchi, le gambe lunghe). La Barbie
era, per me, un personaggio, prima ancora che un corpo, così come ogni altro
personaggio femminile del mondo dei cartoni animati o dei fumetti.
Da psicologa non posso negare
che le ricerche psicologiche e culturali sul corpo della classica Barbie e la
sua influenza sull’immagine corporea di ogni bambina abbiano senza dubbio delle
fondamenta reali, logiche, osservabili. Obiettivamente, qualunque occhio può
notare che il corpo di questa bambola così alla moda non abbia nulla a che fare
con le reali proporzione del fisico umano. Al tempo stesso, però, nemmeno i corpi
delle bellissime principesse Disney, o quelli delle piccolissime bamboline
Polly Pocket, dei personaggi animati di Sailor Moon o della simpatica Olivia,
fidanzata di Braccio di Ferro, hanno rappresentato in modo fedele il corpo
femminile negli ultimi 30 anni di giocattoli e show televisivi ideati per le
bambine di tutto il mondo. Perché, dunque, focalizzarsi in modo così feroce
sulla Barbie, piuttosto che su tutte le altre bambole in commercio? Non
staremo, forse, rischiando di bullizzare la bambola Barbie, sessualizzandone in
modo esasperato un corpo che, in fondo, non è altro che un giocattolo? Non
avremo dimenticato il modo in cui il corpo di una bambola viene osservato e
vissuto da una bambina, valutandone i rischi e le criticità psicologiche con
occhi da adulti e professionisti?
Oggi si parla moltissimo del
concetto di Body Shaming, la derisione del corpo. Slogan pubblicitari di
sensibilizzazione, con lo scopo di stimolare le riflessioni circa il rispetto
del corpo e delle sue forme, si lasciano quasi sempre accompagnare da immagini
femminili (quanti uomini parlano di body shaming, e quanti affermano
effettivamente di soffrirne?) di corpi morbidi, particolarmente formosi,
evidentemente curvy, talvolta anche sovrappeso. Campagne di sensibilizzazione degne
di rispetto rischiano però, molto spesso, di dimenticare che il body shaming non
investe necessariamente solo il corpo e la psiche femminile, così come non
coinvolge esclusivamente la forma del corpo e le sue curve. Si può soffrire per
il body shaming anche in un corpo maschile, oppure in un corpo femminile dalle
curve poco accennate, dalla silhouette giudicata “troppo magra”, “troppo ossuta”,
“troppo alta”, “poco florida e femminile”, così come per via di un viso dai
lineamenti particolari, asimmetrici, molto marcati o poco marcati, per via dei capelli,
dei denti, di una malformazione fisica, di una malattia che investe il corpo in
modo invalidante e visibile e di infinite altre ragioni possibili. Ci scagliamo contro il
bullismo e la derisione del corpo, ma al tempo stesso forse bullizziamo Barbie e
quel suo corpo che la nostra cultura occidentale continua tuttavia, paradossalmente, a
considerare “perfetto”. Basta dare uno sguardo ai prodotti tessili dei celebri
marchi di abbigliamento femminile in voga tra le giovani e le giovanissime,
osservare uno qualunque dei capi proposti in vetrina, elegantemente indossato
da un manichino femminile alto e sottilissimo, ammiccante nella sua fisicitÃ
innaturale: un abito che porta con sé l’etichetta di una taglia XL ma che troppo frequentemente vanta
un punto vita fin troppo esile, un giroseno spesso troppo stretto, il tessuto
troppo ristretto sui fianchi. Un abito dalla ipocrita taglia XL che spesso corrisponde,
senza alcun dubbio, ad una piccolissima taglia 40. Perché cercare di educare le
bambine di oggi alla ricerca di un modello femminile realistico, genuino ed
onesto facendo leva su un giocattolo e sulle sue presunte funzioni educative
quando, solo pochi anni dopo, consentiremo alle stesse bambine, ormai
cresciute, di credersi troppo grasse perché inadatte persino alla taglia più
grande proposta dal loro negozio di moda preferito? Perché bullizzare il corpo
di Barbie (come se possedesse solo questo corpo, e non una storia ed una
personalità , dei traguardi e dei messaggi da comunicare al mondo) mentre
lì fuori il mondo della moda (un mondo reale) onora e venera l’ultima fashion
blogger ed it girl alta, snella e bionda il cui corpo non è poi così diverso da
quello di una Barbie degli anni ’90?
Se il corpo va rispettato in ogni sua
forma e misura, perché non rispettare anche quello di una bambola che, prima di
trasformarsi involontariamente in un simbolo sessualizzato di femminilità ingannevole
da ostracizzare, non era altro che uno strumento di immaginazione, gioco e
creatività libera? Nella piena attenzione ai rischi del body shaming ed all’educazione
delle bambine di oggi, dovremmo forse imparare anche a focalizzarci sugli
stimoli educativi più giusti, partendo dalle basi, dall’educare le bambine a
sviluppare una personalità critica che sappia osservare il mondo distinguendo il
gioco, l’immaginazione e la pubblicità da ciò che è la realtà , nella piena
attenzione ad una piccola autostima nella sua delicata e fragile fase di
formazione e sviluppo. Perché sarebbe ingiusto ed inefficace proporre alle
bambine una nuova bambola dalle fattezze realistiche dimenticando, al contempo,
di rispettare e valorizzare ogni giorno il loro valore di piccole persone tra
le mura di casa e scuola. Forse Barbie può ancora insegnare alle bambine che è
possibile sognare ogni tipo di futuro, colorato ed allegro, ed ogni tipo di
ruolo nella futura vita adulta, non solo quello della piccola mamma alle prese
con il suo bambolotto, ma anche quello della piccola donna indipendente e dalle
mille ambizioni, che non ha solo un fidanzato storico (a proposito di Ken,
avete mai sentito giudicare o visto cambiare il suo, di corpo?) e delle
sorelline minori di cui prendersi cura, ma anche un cavallo rosa, un camper dai
colori dell’arcobaleno, una casa a tre piani a forma di cupcake ed un lavoro da
veterinaria per unicorni. Tutto ciò che ogni bambina ha pienamente il diritto di sognare, prima di crescere in un mondo reale che per il suo corpo, purtroppo, non sempre avrà rispetto e cura. Sarà davvero tutta colpa di Barbie?
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Bellissimo articolo. Grazie mille.
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